Lei, la vera Rossy, è nata con la notte. Quella della movida madrilena degli anni Ottanta, quel rigurgito esplosivo di vita che non voleva cedere il passo all’oblio della sera, troppo ansiosa di rinascere dalle ceneri della dittatura franchista. All’epoca era una ragazzina appena adolescente, artista ancora in erba, oggi Rossy de Palma, cantante, ballerina, modella, attrice-musa di Pedro Almodóvar, ha «sessant’anni, sessanta!», sottolinea due volte incorniciando le parole con le braccia sollevate ad arco sopra i lunghi capelli setosi, nerissimi. Consapevole di essere ancora terribilmente fascinosa mentre si accomoda languida sulla poltroncina della camera da letto che ha firmato per Roche Bobois, novità della casa francese appena presentata alla Settimana del design di Milano insieme alla collezione del suo mentore Almodóvar, dedicata al living.

Lei ha preferito concentrasi sulla notte, «raffigurarla in bilico tra il mistero e la morbidezza dei chiaroscuri, dove il bianco e nero si apre all’immaginazione proprio come nei film noir di una volta. Amo questi colori», racconta, «sono gli stessi che scelgo per vestirmi, esaltano la femminilità » e fasciano le sue forme, le lunghe gambe pallide accavallate con grazia. Una visione placida della notte, temperata dall’età , dice, ma spumeggiante nelle silhouette surrealiste «delle lampade che ho voluto a forma di peineta (il tradizionale pettine spagnolo con la sommità arabescata), dello specchio a forma di occhio che sormonta la mia coiffeuse, un omaggio alla creatività di Elsa Schiaparelli, alle sue creazioni che trasfiguravano i corpi in metafora, accentuandone il simbolismo». E un modo per riservare uno sguardo dolce verso se stessi, senza maschere, «mai!», ma che racchiuda una verità affettuosa, «non mi interessa sapere chi è la più bella!».

Della movida della sua giovinezza oltre all’effervescenza del carattere resta senz’altro «l’anima barocca, è un tratto interiore a cui non rinuncerò mai, lo amo troppo, anche se adesso mi piace declinarlo in modo minimalista, alternando l’eccesso alla sobrietà , un rimando anche all’anarchia del dadaismo, un’altra corrente artistica che adoro», sottolinea con un sorriso caldo che le accende lo sguardo, «che mentre destabilizza ti rigenera». E Rossy, all’anagrafe Rosa Elena, è rinata tante volte, coltivando la sua esuberanza e plasmando la parte più creativa che adesso si rivela anche nel design. «È una cosa in cui mi diverto molto, qui qualsiasi oggetto, anche il più semplice, domestico, può trasformarsi in altro: i cassetti diventare delle bocche, un’ombra creata da un arredo ricordare la danza», magari il flamenco che si fa intuire nel movimento della sua capsule, tra le sponde morbide del mobile toletta e le lunghezze affusolate e decise delle piantane a fermaglio. Ma la notte è anche languore, erotismo, desiderio, quest’ultimo però senza leggi, per giocare con il titolo del suo esordio cinematografico, una pellicola del primo Almodòvar.
«Al desiderio non piacciono le regole, è forza, energia. Semmai se le crea al momento, mentre brucia. Io gli sono sempre andata incontro», risponde decisa, «anche se adesso cerco più tranquillità , la forza dell’erotismo si è trasformata in desiderio esistenziale, e la notte», chiosa, «in un’epifania dell’inconscio».
